Farmaci pericolosi per le donne: la disparità di genere è anche negli studi clinici

Nelle sperimentazioni per lo studio dei nuovi farmaci le donne sono sottorappresentate se non assenti.
È quanto denuncia il farmacologo Silvio Garattini, intervistato dal TG3, che evidenzia come le donne costituiscano nei casi più ottimistici meno del 30% della popolazione sulla quale i nuovi farmaci vengono testati.
Il motivo è che l’industria farmaceutica sceglie le condizioni ottimali per condurre gli studi per l’approvazione delle nuove molecole, così da massimizzare i risultati in termini di efficacia e profilo di tossicità.
In questi contesti “artificiali” non troverebbero spazio, in particolare, le donne in età fertile o in gravidanza, considerate un rischio per le sperimentazioni.
Garattini spiega inoltre che nel 73% degli studi, ancora oggi, non vengono differenziati i risultati tra maschi e femmine, nonostante le diversità anche rilevanti a livello di peso, composizione corporea ed assetto ormonale.
La conseguenza è che il sesso femminile, nella vita reale, va incontro a più effetti collaterali rispetto ai maschi: ben 8 farmaci ritirati su 10 vengono tolti dal commercio a seguito di eventi avversi rilevati sulle donne. Inoltre, alcuni principi attivi potrebbero addirittura perdere l’indicazione qualora si consideri il loro uso esclusivamente per la popolazione femminile.
L’acido acetilsalicilico, ad esempio, viene utilizzato in prevenzione secondaria sugli eventi cardiovascolari avendo una efficacia statisticamente dimostrata sugli uomini. Questo non è valido per le donne.
Utilizzare i farmaci in modo più appropriato porterebbe un vantaggio al SSN anche in termini di risorse, potendo concentrarle là dove sono realmente efficaci.
La soluzione? Un intervento legislativo ad hoc, che metta le autorità regolatorie e i comitati etici nelle condizioni di vigilare fattivamente.
Salute, le dispari opportunità